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Il Mito della caverna e la Massoneria
Di
-
1 Dicembre 2019
7547
Da Platone al Gabinetto di Riflessione
Una similitudine ricorrente è quella che porta all’accostamento tra il Mito Caverna e l’Iniziazione massonica. In fondo, il Gabinetto di Riflessione rievoca molto facilmente la grotta, la Caverna. Dà origine ad una serie di riflessioni.
Il Mito della Caverna pone anzitutto il problema del rapporto tra soggetto e oggetto, tra consapevolezza e coscienza, in definitiva della realtà; del come l’uomo la conosca, cosa ne conosca, quali sono gli strumenti che ha a sua disposizione per conoscerla.
Tutto parte dalla percezione, il mondo che si impone alla nostra attenzione sotto una veste che, però, può essere ingannevole.
Abbiamo poi la ragione, che organizza ciò che ci arriva dalla percezione, lo ordina in categorie, crea relazioni e rapporti tra gli oggetti.
Infine, arriva l’intuito che è ciò che ci permette di andare oltre la percezione e oltre la stessa ragione.
E qui, dal punto di vista filosofico, arriviamo in un ginepraio, perché si ripropone il rapporto tra soggetto cosciente, pensante, e la realtà, con interpretazioni e teorie che giungono a conclusioni controverse, che lasciano irrisolte delle domande fondamentali.
L’uomo può conoscere realtà?
E se sì, che realtà può conoscere?
Platone e la filosofia arrivano a porre in modo forte questo rapporto.
Ma è solo a partire da Kant, con la sua “rivoluzione copernicana”, che al centro della filosofia non viene più posto l’oggetto, ma l’uomo, che ragiona attraverso le categorie, che ha un suo modo peculiare di filtrare e percepire la realtà; Kant parla, a questo proposito, di occhiali colorati. Inquadriamo la realtà incastrandola in spazio e tempo, la viviamo secondo una successione lineare che, probabilmente, è propria della percezione umana.
Questo ha portato effettivamente a sviluppare tutta una serie di teorie filosofiche che indagano il rapporto tra uomo e realtà, soggetto cosciente e verità.
Da un lato, c’è chi sfocia in un pensiero debole, con l’assolutizzazione del relativismo, che sembra una contraddizione in termini. Come l’assunto secondo il quale la verità non esiste, va in contraddizione con se stesso, visto che se fosse così sarebbe l’assunto stesso una verità, allo stesso modo, se diciamo che tutto è relativo, è vero anche che questa stessa affermazione è relativa.
Tornando al pensiero debole, e volendo semplificare, la conclusione è che l’uomo, ostacolato da una percezione che ha dei limiti, non riesce a conoscere quella che è la cosa in sé, il noumeno kantiano; può solo arrivare al fenomeno, quella proiezione della cosa in sé, l’unica rappresentazione che può cogliere della realtà, che può essere assimilata all’ombra nel mito di Platone: non vediamo ciò che c’è fuori dalla caverna, non vediamo la cosa in sé, ma l’ombra che ci permette di percepire la cosa, secondo la nostra ragione, percezione.
Dall’altro lato, si sviluppano una serie di filosofie che hanno il loro culmine nell’idealismo, dove il rapporto tra soggetto e oggetto è fortemente sbilanciato a favore di soggetto: idea, pensiero come capacità creativa. È l’uomo, nel momento in cui percepisce la realtà, che la crea, che può modificarla
E questa, forse, è la versione filosofica del concetto di magus: qualcuno che ha una percezione talmente alta, una tale consapevolezza della realtà, delle leggi che la regolano, da poterla nullificare, plasmare.
In mezzo, tante altre correnti filosofiche, come l’ermeneutica, in cui si parla di scambio, di oggetto che influenza soggetto, e viceversa.
Il punto è: da che parte dovrebbe essere un Massone?
Questo ci riconduce al concetto di dubbio.
Esistono diversi tipi di dubbio.
Anzitutto, la contrapposizione, in filosofia, tra dubbio scettico e dubbio cartesiano.
Qual è differenza sostanziale? Per lo scettico, il dubbio è un punto d’arrivo: una riflessione filosofica che porta a dubitare di qualsiasi cosa. Porta, cioè, a quello che era un relativismo in nuce, nell’impossibilità di avere delle certezze, di conoscere il perché della realtà.
Il dubbio cartesiano è l’opposto, si tratta solo di un punto di partenza: Cartesio parte da esso, dal dubbio della sua stessa esistenza, che pone nel “cogito ergo sum”, per arrivare, nella sua concezione filosofica, a dimostrare Dio.
Quello cartesiano, forse, dovrebbe essere il dubbio massonico, come capacità di mettersi in gioco, di arrivare alla consapevolezza che le nostre verità possono non essere ultime, ma che non sia possibile negare che ci sia una realtà, che si possa percepirla, intuirla, perché, altrimenti, potrebbe venir lo stesso senso del percorso massonico.
Se per assurdo si riuscisse ad uscire dalla caverna, a percepire la luce, che dovrebbe poi fare l’iniziato, o il Massone, o comunque colui che trova la forza di rompere le catene e di arrivare alla luce?
È una questione che il Massone deve porsi come interrogativo.
Interrogativo che, però, deve partire da un presupposto. Cosa intendiamo come catene? La Massoneria moderna, nel 1717, prevedeva e richiedeva un “uomo libero e di buoni costumi”, dove per “libero” si intendeva la condizione sociale di libero, come affrancato, non schiavo. Libero oggi cosa deve significare per il Massone? Libero deve essere chi non è schiavo? Allora siamo tutti liberi.
Quelle catene, forse, sono le regole della nostra natura, quelle che ci impone la nostra società, sono quella visione del mondo che ci viene inculcata fin da piccoli con il processo di socializzazione.
Per il selvaggio il tuono è la manifestazione di Dio, lo percepisce così perché questo gli ha trasmesso la cultura in cui è stato socializzato.
L’uomo occidentale legge nei libri di scienze che quel tuono probabilmente è qualcos’altro: chi ha ragione e chi torto?
Mettiamoci dal lato del soggetto, non dell’oggetto. In quel momento, chi sente il tuono, l’aborigeno, lo percepisce come segno del divino; questo senza volersi porre da un presunto punto di vista oggettivo.
Quindi: cosa sono queste catene? Rappresentano i nostri condizionamenti sociali, gli occhiali colorati di Kant, le nostre categorie di interpretazione della realtà. La fatica da fare è per prendere le distanze dalle proprie convinzioni sociali; una delle operazioni più difficili, ad esempio nel caso dei migranti, è proprio quella della risocializzazione, cioè imparare un altro modo di vedere le cose, un diverso senso del divino, modificare tutto quello che si è dato per scontato, che si è creduto come reale fino al giorno prima, in tutta la propria vita.
Ortega y Gasset parla, riferendosi a questi casi, di una dissonanza cognitiva, considerando la risocializzazione come un evento traumatico. Centrale è il suo concetto di credenze, ovvero qualcosa di così radicato in noi da essere oggettivizzato dalla ragione. In fondo, sebbene la cultura sia un prodotto dell’uomo, attraverso quel processo che in sociologia è chiamato di “reificazione”, diventa qualcosa di così radicato nel corso dei secoli, dei millenni, che pur essendo un prodotto umano lo si percepisce come qualcosa di esterno all’uomo.
Ortega, a questo proposito, sostiene che prendere distacco dalla propria cultura è un po’ come uscire di casa la mattina e, invece che trovare la solita strada, imbattersi in qualcos’altro.
Lo smarrimento esistenziale sarebbe enorme.
È quella la fatica della risalita, l’accecamento di chi, dopo anni di buio, scorge finalmente la luce.
Essere veramente liberi forse significa avere la capacità, la forza di spezzare le catene culturali, prenderne le distanze, liberi di pensare e di capire che non si hanno verità, almeno finché non si fa un certo tipo di percorso.
Mai prima di adesso, ci troviamo di fronte ad una società così omologante da risultare anti individualistica, oppressiva, uniformante, tanto da appiattire il pensiero.
Rimane una domanda.
Quando il Massone si libera, che deve fare?
Durante il Rituale di apertura dei lavori, si dice che i Massoni si riuniscono per “scavare oscure e profonde prigioni al vizio”, ma anche per “lavorare per il bene e il progresso dell’umanità”. Cosa si intende, in questo secondo passaggio? Prendere l’ascia, le tenaglie e spezzare le catene del singolo uomo, o provare ad elevare l’umanità, nel suo complesso?
Parto sempre dal presupposto che la verità sia una conquista, il culmine di un percorso di consapevolezza.
Per questo, probabilmente, chi dovesse provare a liberare il singolo rischierebbe di essere ammazzato: la verità è un qualcosa cui si arriva quando si è pronti, quando si ha in sé la forza di uscire da ciò che Heidegger chiamava “Si anonimo”, quello dettato dalla mancanza di una propria opinione, adagiandosi nella comoda oscurità del si anonimo: si dice, si pensa, si crede, in modo generalizzato, asettico dal punto di vista dei valori.
Allora, quale dev’essere il compito del Massone?
Sforzarsi di lavorare per creare quelle condizioni culturali perché il singolo possa scegliere di affrancarsi, di risalire verso il vero, verso la Luce.
Autore Pietro Riccio
Pietro Riccio, esperto e docente di comunicazione, marketing ed informatica, giornalista pubblicista, scrittore. Direttore Responsabile del quotidiano online Ex Partibus, ha pubblicato l'opera di narrativa "Eternità diverse", editore Vittorio Pironti, e il saggio "L'infinita metafisica corrispondenza degli opposti", Prospero editore.
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